SETTENARIO MADONNA DEL PIANTO
SETTEMBRE 2025
NEL PRIMO MISTERO GAUDIOSO CONTEMPLIAMO L'ANNUNCIO DELL'ANGELO GABRILE A MARIA.
L'angelo disse a Maria: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”
Nel sì di Maria c’è il sì di tutta la storia della salvezza e incomincia lì a Nazareth il sì dell’uomo e di Dio. È “il sì di Dio che ci santifica, che ci fa andare avanti in Gesù Cristo”. Ecco perché l’Annunciazione a Maria è motivo anche per noi di ringraziare il Signore e per domandarci: io sono uomo o donna del sì o sono uomo o donna del no? O sono uomo o donna che guarda un po’ dall’altra parte, per non rispondere?”.
A volte siamo esperti nei mezzi sì, cioè siamo bravi a far finta di non capire bene ciò che Dio vorrebbe e la coscienza ci suggerisce. Siamo anche furbi e per non dire un no vero e proprio a Dio diciamo: ‘non posso’, ‘non oggi, ma domani’; ‘domani sarò migliore, domani pregherò, farò del bene, domani’. E questa furbizia ci allontana dal Signore, ci allontana dal sì e ci porta al no del peccato, della mediocrità. “Così però chiudiamo la porta al bene, e il male approfitta di questi sì mancati. Ognuno di noi ne ha una collezione dentro: guardiamoci dentro, ne troveremo tanti, di sì mancati.
Questo è l’annuncio più importante della nostra storia. Eppure avviene in un luogo sperduto della Galilea, in una città periferica e con una fama non particolarmente buona, nell’anonimato della casa di una giovane chiamata Maria.
Un contrasto non di poco conto, che ci segnala che il nuovo Tempio di Dio, il nuovo incontro di Dio con il suo popolo avrà luogo in posti che normalmente non ci aspettiamo, ai margini. Lì si daranno appuntamento, lì si incontreranno; lì Dio si farà carne per camminare insieme a noi fin dal seno di sua Madre. Per Dio la salvezza ha inizio nella vita quotidiana della casa di una giovane di Nazareth”.
Dio stesso è Colui che prende l’iniziativa e sceglie di inserirsi, come ha fatto con Maria, nelle nostre case, nelle nostre lotte quotidiane, piene di ansie e insieme di desideri. Ed è proprio all’interno delle nostre città, delle nostre scuole, delle piazze e degli ospedali che si compie l’annuncio più bello che possiamo ascoltare: «Rallegrati, il Signore è con te!». Una gioia che genera vita, che genera speranza, che si fa carne. Una gioia che diventa solidarietà, ospitalità, misericordia verso tutti.
Come Maria anche noi possiamo essere presi dallo smarrimento. «Come avverrà questo» in tempi così pieni di calamità, di guerre, di omicidi?.
Si fa polemica su tutto: sulla vita, sul lavoro, sulla famiglia. Si discute sui poveri e sui migranti; si parla dei giovani e del loro futuro. Tutto sembra ridursi a cifre, lasciando, che la vita quotidiana di tante famiglie si macchi di precarietà e di insicurezza. Mentre il dolore bussa a molte porte, mentre in tanti giovani cresce l’insoddisfazione per mancanza di reali opportunità.
«Nulla è impossibile a Dio» Quando crediamo che tutto dipenda esclusivamente da noi rimaniamo prigionieri delle nostre capacità, delle nostre forze, dei nostri miopi orizzonti. Quando invece ci disponiamo a lasciarci aiutare, a lasciarci consigliare, quando ci apriamo alla grazia, sembra che l’impossibile incominci a diventare possibile.
Tutto inizia da un cuore umile e docile come quello di Maria, che non capisce bene, ma è libera: capisce soltanto l’essenziale. E dice di sì. È umile: ‘Sia fatta la volontà di Dio’. Lascia la sua anima alla volontà di Dio.
Proprio lo stile di Maria mostra che tutto l’amore di Dio, per arrivare a noi, prende la strada dell’umiltà. E l’umiltà è quella di Gesù, che finisce sulla croce. E questa è la regola d’oro per un cristiano: progredire, avanzare e abbassarsi. Non si può andare su un’altra strada. Se io non mi abbasso, se tu non ti abbassi, non sei cristiano. ‘Ma perché devo abbassarmi?’. Per lasciare che tutta la carità di Dio venga su questa strada, che è l’unica che lui ha scelto — non ne ha scelto un’altra — che finirà sulla croce. E poi, nel trionfo della risurrezione”.
Il cammino dell’umiltà significa semplicemente dire: “Io sono uomo, io sono donna e tu sei Dio! E andare davanti, in presenza di Dio, come uomo, come donna nell’obbedienza e nella docilità del cuore.
Chiediamo questa sera l’aiuto a Maria
NEL SECONDO MISTERO GAUDIOSO CONTEMPLIAMO LA VISITA DI MARIA A SUA CUGINA ELISABETTA.
In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria salutò Elisabetta.
Maria, dopo l’annunciazione, avrebbe potuto concentrarsi su sé stessa, sulle preoccupazioni e i timori dovuti alla sua nuova condizione. Invece no, lei si fida totalmente di Dio. Pensa piuttosto a Elisabetta. Si alza e si mette in movimento, perché è certa che i piani di Dio siano il miglior progetto possibile per la sua vita.
Maria diventa immagine della Chiesa in cammino, la Chiesa che esce e si mette al servizio, la Chiesa portatrice della Buona Novella!
Anche noi, come discepoli del Signore e come Comunità cristiana siamo chiamati ad alzarci in fretta per lasciarci condurre dal Signore sulle strade che Egli vuole indicarci».
La Madre del Signore è modello di noi in movimento, non immobili davanti allo specchio a contemplare la propria immagine.
La fretta di Maria è perciò la premura del servizio, dell’annuncio gioioso, della risposta pronta alla grazia dello Spirito Santo. Maria si è lasciata interpellare dal bisogno della sua anziana cugina. Non si è tirata indietro, non è rimasta indifferente. Ha pensato più agli altri che a sé stessa.
Ognuno di voi può chiedersi: come reagisco di fronte alle necessità che vedo intorno a me? Penso subito a una giustificazione per disimpegnarmi, oppure mi interesso e mi rendo disponibile? Certo, non possiamo risolvere tutti i problemi del mondo. Ma magari possiamo iniziare da quelli di chi ci sta più vicino. Una volta hanno detto a Madre Teresa: “Quello che lei fa è solo una goccia nell’oceano”. E lei ha risposto: “Ma se non lo facessi, l’oceano avrebbe una goccia in meno”.
Davanti a un bisogno concreto e urgente, bisogna agire in fretta. Quante persone nel mondo attendono una visita di qualcuno che si prenda cura di loro! Quanti anziani, malati, carcerati, rifugiati hanno bisogno del nostro sguardo compassionevole, della nostra visita, di un fratello o una sorella che oltrepassi le barriere dell’indifferenza!
Quali “frette” ci muovono? Che cosa ci fa sentire l’impellenza di muoverci, tanto da non riuscire a stare fermi? Tanti – colpiti in questi anni, da realtà come la pandemia, la guerra, la migrazione forzata, la povertà, la violenza, le calamità climatiche – si pongono la domanda: perché mi accade questo? Perché proprio a me? Perché adesso? E allora la domanda centrale della nostra esistenza è: chi sono io per gli altri, cosa faccio per loro?
La fretta della giovane donna di Nazaret è quella propria di coloro che hanno ricevuto doni straordinari dal Signore e non possono fare a meno di condividere, di far traboccare l’immensa grazia che hanno sperimentato. È la fretta di chi sa porre i bisogni dell’altro al di sopra dei propri.
Maria è esempio di giovane che non perde tempo a cercare l’attenzione o il consenso degli altri, ma si muove per cercare la connessione più genuina, quella che viene dall’incontro, dalla condivisione, dall’amore e dal servizio.
Dall’annunciazione in poi, da quando per la prima volta è partita per andare a visitare sua cugina, Maria non cessa di attraversare spazi e tempi per visitare i suoi figli bisognosi con il suo aiuto premuroso.
La madre di Dio cammina anche oggi in mezzo al suo popolo, mossa da una tenerezza premurosa, e si fa carico delle ansie e delle vicissitudini. E dovunque ci sia un santuario, una chiesa, una cappella dedicata a lei, i suoi figli accorrono numerosi. Quante espressioni di pietà popolare! I pellegrinaggi, le feste, le suppliche, l’accoglienza delle immagini nelle case e tante altre sono esempi concreti della relazione viva tra la Madre del Signore e il suo popolo, che si visitano a vicenda!
Anche per noi, è tempo di ripartire in fretta verso incontri concreti, verso una reale accoglienza di chi è diverso da noi, come accadde tra la giovane Maria e l’anziana Elisabetta. Solo così supereremo le distanze – tra generazioni, tra classi sociali, tra etnie, tra gruppi e categorie di ogni genere – e anche le guerre.
Possa lo Spirito Santo accendere nei nostri cuori il desiderio di alzarci e la gioia di camminare tutti insieme, abbandonando le false scuse. Il tempo di alzarci è adesso! Alziamoci in fretta! E come Maria portiamo Gesù dentro di noi per comunicarlo a tutti! In questo periodo della nostra vita, andiamo avanti, non rimandando ciò che lo Spirito può compiere in noi!
NEL TERZO MISTERO GAUDIOSO CONTEMPLIAMO LA NASCITA DI GESÙ A BETLEMME.
Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia perché non avevano altro posto nella casa dove alloggiavano.
Per ritrovare il vero significato di questo terzo mistero, guardiamo alla mangiatoia.
Luca, nel suo Vangelo della natività, la menziona per ben tre volte, con Maria, che pone Gesù in una mangiatoia; poi gli angeli, che annunciano ai pastori un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia; quindi i pastori, che trovano il bambino, adagiato nella mangiatoia.
Intorno, a Betlemme vi è una situazione simile alla nostra a Natale: tutti sono presi e indaffarati per un importante evento da celebrare, allora era il grande censimento che richiedeva molti preparativi.
Ma perché la mangiatoia è così importante? Perché è il segno, non casuale, con cui Cristo entra nella scena del mondo.
Nella mangiatoia Dio ci parla di vicinanza, povertà, concretezza.
Vicinanza, innanzitutto, perché la mangiatoia serve a portare il cibo vicino alla bocca e a consumarlo più in fretta. Così può simboleggiare la voracità nel consumare dell’umanità: gli uomini, anche oggi, affamati di potere e di denaro, consumano pure i loro vicini, i loro fratelli. Quante guerre! E in quanti luoghi, ancora oggi, la dignità e la libertà vengono calpestate! E sempre le principali vittime della voracità umana sono i fragili, i deboli, gli ultimi.
Un’umanità insaziabile di soldi, potere e piacere non fa posto, come fu per Gesù, ai più piccoli, a tanti nascituri, ai poveri, ai dimenticati. Penso soprattutto ai bambini di Gaza, divorati dalla guerra, fame, povertà e ingiustizie. Ma Gesù viene proprio lì, bambino nella mangiatoia. In Lui, bambino di Betlemme, c’è ogni bambino. E c’è l’invito a guardare la vita, la politica e la storia con gli occhi dei bambini.
Nella mangiatoia c’è il problema dell’umanità: l’indifferenza generata dal potere, dalla fretta vorace di possedere e consumare.
Dio in Gesù ci fa suoi figli e ci nutre di tenerezza. Viene a toccarci il cuore e a dirci che l’unica forza che muta il corso della storia è l’amore. Non resta distante e potente, ma si fa prossimo e umile. Si fa vicino, perché gli importa di noi. Dalla mangiatoia ci dice: Se ti senti consumato dagli eventi, se il tuo senso di colpa e la tua inadeguatezza ti divorano, se hai fame di giustizia, io, Dio, sono con te. Sono nato per dirti che ti sono e ti sarò sempre vicino.
La fredda stalla ci dice che le persone sono le vere ricchezze.
La mangiatoia di Betlemme ci parla però anche di povertà.
È in una fredda stalla, non nel caldo di un albergo, e Gesù nasce lì, attorniato solo da chi gli ha voluto bene: Maria, Giuseppe e dei pastori; tutta gente povera, accomunata da affetto e stupore, non da ricchezze e grandi possibilità.
Ma queste, sono le vere ricchezze della vita: non il denaro e il potere, ma le relazioni e le persone.
Ma noi, vogliamo stare al suo fianco? Ci avviciniamo a Lui, amiamo la sua povertà? O preferiamo rimanere comodi nei nostri interessi? Soprattutto, lo visitiamo dove Lui si trova, cioè nelle povere mangiatoie del nostro mondo? Lì Egli è presente. E noi siamo chiamati a essere una Chiesa che adora Gesù povero e serve Gesù nei poveri. Gesù cerca una fede fatta di adorazione e carità, non chiacchiere
La mangiatoia ci parla infine di concretezza. Infatti, un bimbo in una mangiatoia rappresenta una scena che colpisce, persino cruda. Ci ricorda che Dio si è fatto davvero carne. Il suo amore per noi è stato tangibile, concreto: dalla nascita alla morte, non ci ha amato a parole, nel suo nome facciamo rinascere un po’ di speranza in chi l’ha smarrita!”
Il Mistero allora provoca in noi, oltre che riconoscenza a Dio per questo amore gratuito, l’impegno ad essere persone che si incarnano negli altri perché rivestono della propria carne l’amore verso gli altri, cioè siamo coinvolti perché sappiamo, come Maria, porgere l’amore di Dio, che è Cristo che vive in noi.
Abbiamo questo ruolo: continuare il Mistero del Natale nel modo di Cristo per arricchire la terra del Suo amore, e quindi renderla grembo di Dio, come Maria si è resa Suo grembo.
Chiediamo a Maria questa sera che Gesù continui a nascere in noi e in mezzo a noi.
NEL QUARTO MISTERO GAUDIOSO CONTEMPLIAMO LA PRESENTAZIONE DI GESÙ BAMBINO AL TEMPIO.
Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: "Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore"
Davanti al nostro sguardo, questa sera, c’è un fatto semplice, umile e grande: Gesù è portato da Maria e Giuseppe al tempio di Gerusalemme. È un bambino come tanti, come tutti, ma è unico: è l’Unigenito Figlio di Dio venuto per tutti noi. Questo Bambino ci ha portato la misericordia e la tenerezza di Dio: Gesù è il volto della Misericordia del Padre. È questa l'immagine che il Vangelo ci offre.
La Presentazione di Gesù al Tempio, soprattutto nell’Oriente, viene chiamata festa dell’incontro. In effetti, nel Vangelo che è stato proclamato, vediamo diversi incontri.
Nel tempio Gesù viene incontro a noi e noi andiamo incontro a Lui. Contempliamo l’incontro con il vecchio Simeone, che rappresenta l’attesa fedele di Israele e la gioia del cuore per il compimento delle antiche promesse.
Ammiriamo anche l’incontro con l’anziana profetessa Anna, che, nel vedere il Bambino, esulta di gioia e loda Dio.
Simeone ed Anna sono l’attesa e la profezia, Gesù è la novità e il compimento: Egli si presenta a noi come la perenne sorpresa di Dio; in questo Bambino nato per tutti si incontrano il passato, fatto di memoria e di promessa, e il futuro, pieno di speranza.
Chi incontra davvero Gesù non può rimanere uguale a prima. Egli è la novità che fa nuove tutte le cose. Chi vive questo incontro diventa testimone e rende possibile l’incontro con gli altri evitando di rimanere chiuso in sé stesso.
A me piace tanto quando incontro quelle persone soprattutto anziane, ma con gli occhi brillanti, perché hanno il fuoco della vita spirituale acceso. Non si è spento, non si è spento quel fuoco! Vanno avanti ogni giorno, e continuano a lavorare e guardare al domani con speranza. Il lavoro di tutti i giorni, e poi la speranza di andare avanti e seminare il bene. Gli altri che verranno dopo riceveranno così l’eredità da loro lasciata.
L’incontro al Tempio è pure un momento di dolore, perché Simeone aggiunge, rivolgendosi a Maria: «E anche a te una spada trafiggerà l'anima». Da allora senz'altro Maria non ha più potuto dimenticare quelle parole. La sua vita sarà sempre accompagnata dall'ombra del dolore, che certamente le si sarebbe presentato.
Una cosa un po' simile succede anche a noi quando cominciamo a vivere il Vangelo. Dapprima siamo trasportati magari dall'entusiasmo, oltre che dalla convinzione, che il Vangelo propone. Ma a un dato momento il Signore, ci fa capire quale sia la condizione indispensabile di aver scelto lui. Ci viene parlato allora del dolore, della croce, di Gesù crocifisso.
Per poter proseguire la nostra strada e per poter continuare a dare Gesù al mondo è necessario che noi diciamo allora un secondo “sì”, il “sì” alla croce, come quello che Maria deve aver pronunciato nel profondo del cuore, ascoltando il vecchio Simeone.
Il Vangelo ci dice poi che «il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui». Giuseppe e Maria custodiscono lo stupore per questo incontro pieno di luce e di speranza per tutti i popoli.
E anche noi, come cristiani siamo custodi dello stupore. Uno stupore che chiede di essere sempre rinnovato; guai all’abitudine nella vita spirituale.
Infine, da questo quarto mistero impariamo a vivere la gratitudine per l’incontro con Gesù.
Il Vangelo si conclude con questa espressione: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui».
Possa il Signore Gesù, per la materna intercessione di Maria, crescere in noi, e aumentare in ciascuno il desiderio dell’incontro, la custodia dello stupore e la gioia della gratitudine. Allora altri saranno attratti dalla sua luce, e potranno incontrare la misericordia del Padre.
Adesso preghiamo insieme la Madonna.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, solo con il tuo cuore, la tua volontà, i tuoi desideri si può obbedire secondo verità e in pienezza di amore alla Legge del nostro Dio.
Vieni con tutta la tua potenza di luce, verità, amore, prenditi il nostro spirito e la nostra anima e rendili obbedienti alla Legge come tu lo sei stata per tutti i giorni della tua vita.
Senza l’obbedienza alla Legge il cuore è di pietra, lo spirito inaridito e mai potrà obbedire alla voce del suo Dio. Amen.
NEL QUINTO MISTERO GAUDIOSO CONTEMPLIAMO LO SMARRIMENTO E IL RITROVAMENTO DI GESÙ NEL TEMPIO.
"Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.
Il Vangelo del giorno è quello in cui la Santa Famiglia si reca a Gerusalemme, per la festa di Pasqua, e al ritorno smarrisce Gesù, ritrovato poi nel tempio, seduto tra i dottori, intento a discutere con loro.
Stupore e angoscia sono le caratteristiche del brano del Vangelo di oggi, che vede Maria e Giuseppe angosciati perché non trovano Gesù per tre giorni, e lo ritrovano poi nel tempio.
Maria e Giuseppe sono stupiti dalla sapienza del piccolo, ma Maria manifesta anche la sua apprensione.
Lo stupore non viene meno nemmeno in un momento drammatico come lo smarrimento di Gesù, perché Maria e Giuseppe si stupiscono di fronte alla graduale manifestazione del figlio di Dio, così come si stupiscono i dottori nel tempio.
Stupirsi e meravigliarsi è il contrario del dare tutto per scontato, è il contrario dell’interpretare la realtà che ci circonda e gli avvenimenti della storia solo secondo i nostri criteri, ma è piuttosto un atteggiamento importante per sanare i rapporti compromessi tra le persone, ed è indispensabile anche per guarire le ferite aperte nell’ambito familiare.
Quando ci sono problemi nelle famiglie, diamo per scontato che noi abbiamo ragione e chiudiamo la porta agli altri. E invece si deve pensare: quale cosa di buono ha questa persona? E meravigliarsi per quel qualcosa di buono, e questo aiuta l'unità della famiglia".
Dobbiamo dunque farlo per guarire le ferite familiari.
La famiglia di Nazareth è Santa perché è centrata su Gesù, a lui erano rivolte tutte le attenzioni e le sollecitudini di Maria e di Giuseppe.
C’è poi l’angoscia che Maria e Giuseppe sperimentano quando non trovano Gesù, una angoscia che manifesta la centralità di Gesù nella Santa Famiglia, perché Gesù cresceva, sì, in età, sapienza e grazia, ma soprattutto cresceva nel loro cuore e a poco a poco aumentavano il loro affetto e la loro comprensione nei suoi confronti.
Quell’angoscia che essi provarono nei tre giorni dello smarrimento di Gesù dovrebbe essere anche la nostra angoscia quando stiamo senza pregare, senza leggere il Vangelo, senza sentire il bisogno della sua presenza e della sua consolante amicizia. Tante volte passano i giorni senza che noi ricordiamo Gesù, e questo è molto brutto. Dovremmo sentire l'angoscia quando succedono queste cose".
Per Maria, dopo questa prova, vi fu un lungo periodo nel quale ella poté convivere con Gesù, e nessuno al mondo potrà mai sapere quanto quella convivenza sia stata profonda e apportatrice di soprannaturali consolazioni.
Pure noi se umili, accettiamo queste a volte lunghe prove e con la grazia di Dio le superiamo, possiamo fare esperienza di Dio in una più profonda e nuova intimità con lui, che prima non avevano mai sperimentato.
Vorrei precisare, alla luce di questo mistero, che Gesù non si è smarrito. Questo non è il mistero dello smarrimento, ma è il mistero del ritrovamento. Gesù costringe Maria e Giuseppe a cercarlo.
Andata e ritorno per due volte in pochi giorni sulla via di Gerusalemme. Maria, per un po’ ha voluto dimenticare la promessa di Dio e comportarsi come ogni madre della terra.
Voleva Gesù tutto per sé, forse, voleva impedirgli di camminare da solo perché sulla sua strada incombeva l’ombra dolorosa della morte.
La sua angoscia somiglia alla nostra angoscia quando quello che facciamo non raggiunge il risultato sperato…quando la fatica ha come ricompensa i rifiuti e le assenze, quando le perdite superano di gran lunga il guadagno e ci sentiamo inutili… a un passo dalla resa, feriti dal senso del fallimento.
Ritrovato, Gesù parlava a Maria e Giuseppe, ma parla anche a noi per dirci: guardate che Dio va costantemente cercato! Nei confronti di Dio noi siamo ogni giorno pellegrini; ogni giorno dobbiamo cercare il Signore perché ogni giorno possiamo smarrirci; ogni giorno possiamo perdere la luce. Bisogna, allora, ogni giorno rimettersi in viaggio e non avere pace fino a quando non lo abbiamo ritrovato.
Guardiamo Maria e Giuseppe: con quanta umiltà Lo cercano e con quanta gioia Lo ritrovano! Impariamo anche noi a ritrovare Gesù.
SABATO: AL TERMINE DELLA PROCESSIONE
Anche quest’anno la Madonna, passando per le nostre strade, ha rivolto il suo sguardo tenero e materno su tutti noi, entrando fin dentro le nostre case per portarvi pace, serenità e salute.
Durante la processione, abbiamo camminato con Maria, presentando a Lei le tristezze, le amarezze di cui sono piene le pareti delle nostre case. Chissà quanti dolori, quanti problemi, quanti sacrifici! Quante lacrime, quanto pianto!
Maria ha visto tutto, ha notato tutto. E siamo certi che ancora una volta ha richiamato l’attenzione di suo Figlio Gesù sulle nostre necessità.
Stasera, ci rimanda a casa perché riprendiamo una vita nuova. Una vita nuova, fondata sui valori veri, fondata sull’amore, sul desiderio di fare qualcosa di bello per la nostra Città, per farla splendere sempre più di luce nuova.
Ecco perché sento che la Vergine Santa, stasera, voglia benedirci ancora una volta. E noi, ci rivolgiamo a Maria non per dirle molte parole. Vogliamo solo pregarla e invocarla, chiedendo di custodirci sempre nel suo cuore di madre.
O Madonna del Pianto,
Tu che sei l’umile serva del Signore, aiutaci a lasciarci affascinare non dalla ricerca del potere ma dalla logica del servizio.
Tu che sei stata figlia, insegnaci a sentirci figli amati da Dio.
Tu che sei stata sposa insegna agli sposi e alle spose della nostra comunità ad amarsi nel rispetto l’uno dell’altra, nella fedeltà, con tenerezza e responsabilità, per tenere unite le famiglie, vero luogo di formazione umana e cristiana.
Tu che sei madre, insegna alle madri e ai padri a non lasciare soli i propri figli nel momento delle grandi scelte.
Tu che hai visitato Elisabetta, insegnaci a farci prossimo di chiunque ci passa accanto.
Tu che sei stata la moglie di un carpentiere e hai visto quanto importante sia il lavoro per una famiglia, guarda alle tante persone disoccupate o che versano in condizioni economiche disagiate.
Aiutaci ad amare inostri fratelli e soprattutto estirpa dai nostri cuori la tentazione dell’indifferenza. Insegnaci anche il rispetto per l’ambiente e per quanto ci circonda.
Abbi uno sguardo tenero e amorevole per i nostri bambini, perché non crescano né troppo viziati né trascurati e abbandonati.
Guarda i nostri adolescenti e i nostri giovani: Non permettere che noi adulti li lasciamo soli nel vortice delle loro problematiche o li abbandoniamo in mano ai venditori di morte che speculano sulla loro fragilità. Aiutaci a dare loro un futuro, fatto di lavoro sicuro e di impegno operoso, ma anche a farli innamorare di ideali alti perché un giorno possano assumere con responsabilità le sorti della nostra città.
Ci sono tra noi tante forze positive: tante le persone oneste,
Madonna del Pianto aiutaci a non abbandonare le nostre sane tradizioni, gli intramontabili valori morali della fede cristiana, i nobili ideali civili.
Maria Addolorata veglia benigna sulla vita della nostra gente, affinché non si lasci rubare la speranza!
Amen.
ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE 2025-1
“FATTI UN SERPENTE E METTILO SOPRA UN’ASTA; CHIUNQUE DOPO ESSERE STATO MORSO LO GUARDERA’, RESTERA’ IN VITA”. (Num. 21,8)
Leggendo questo racconto dell’Antico testamento non possiamo non notare che Dio si comporta in un modo apparentemente strano. Egli davanti ai serpenti che mordono e uccidono gli uomini del suo popolo non risolve la situazione miracolosamente facendo sparire i rettili, ma dona loro un rimedio per rimanere in vita nonostante i morsi velenosi.
In fondo è questo il senso più profondo del mistero della croce: Dio non risolve i nostri problemi in maniera miracolosa o eclatante, come se fosse un mago. Piuttosto Egli ci dà la forza di guarire dal veleno della disperazione, dell’odio e della malattia per mezzo della contemplazione della croce.
Qual è il potere della croce, se basta guardarla per trovare forza? In essa, è scritto tutto l’amore che Dio ha per noi, e questo ci dà coraggio nel nostro cammino.
Penso che per molti di noi sia un'esperienza abbastanza abituale quella di mettersi davanti a un crocifisso e lasciare che la croce parli e il nostro cuore entri in comunione con il Crocifisso.
Vedo in quella croce innalzata da terra il punto di congiunzione tra Dio e l'uomo (il compimento totale dell'Incarnazione) e tra l'uomo e Dio (la pienezza della Redenzione). È la chiave che riapre quella porta chiusa a causa di un altro albero (quello del bene e del male) con un frutto ben più "bello a vedersi e gustoso a mangiarsi". Qui c'è un frutto arrossato di sangue, appeso e offerto perché chiunque ne possa gustare ed essere risanato.
Vedo la croce come patibolo, segno dell'uomo che, per salvaguardia del suo potere e dei suoi interessi mascherati di giustizia, ha eretto patiboli, condannato, ucciso, appeso, impiccato. L'uomo che ha usato del dono della propria intelligenza per studiare accurate torture, sofisticati strumenti di morte, pulizie etniche, uccisioni di massa, morti bianche… Ebbene, questo segno di male è divenuto, per la misericordia di Dio, il segno del perdono, della salvezza.
Fin da bambino siamo stati segnati da esso, ci siamo 'rivestiti' della croce, in esso abbiamo benedetto e rinnovato il tempo come dono di ogni giorno, esso ci ha garantito il perdono di Dio.
Vedo in quella croce le sofferenze di tutti gli uomini della terra, ma soprattutto le vedo nelle piaghe del Dio crocifisso e lì contemplo insieme il dolore e l'amore: due cose che sembrano lontane, in Lui sono diventate una cosa sola.
Vedo quel corpo martoriato del re di pace e ripenso ai corpi martoriati da ogni guerra e inimicizia sulla terra. Vedo quelle mani immobilizzate e quei piedi inchiodati e penso a tutti i disabili e agli impediti di questa terra.
Mi sembra di sentire le voci ai piedi di quella croce, da chi sogghigna, a chi chiede misericordia, e vedo quel petto ferito e quel cuore aperto. Il mio Dio che morendo promette: "oggi sarai con me in Paradiso" e che, risorto mantiene il suo petto aperto, pronto ad accogliere per sempre. In quel cuore aperto io e voi possiamo trovare rifugio, tenerezza, calore, perdono.
Dopo l’affronto ricevuto, Dio avrebbe potuto abbandonarci, stancarsi di noi, avrebbe potuto dirci: "Ve lo siete voluto, arrangiatevi", ha bussato alla nostra porta, ha parlato la nostra lingua, si è fatto nostro compagno di viaggio, si è caricato del nostro male ed ha perfino accettato che l’egoismo, le paure di noi uomini inchiodassero Lui e il suo amore ad una croce per dirci: "Ti voglio bene!
Tutta la storia della salvezza è storia di questo amore fedele, tenace da parte di Dio. Se vogliamo essere coinvolti in questa storia di salvezza, dobbiamo credere all’amore di Dio, affidarci a questo amore anche nei momenti più bui e difficili, guardare con più insistenza e con più passione al Cristo crocifisso: Egli non è venuto per giudicare e per condannare, ma per salvare.
Il crocifisso ci insegna a smascherare gli idoli di questo mondo, i potenti di questo secolo, i soprusi e le ingiustizie, per far risplendere la luce e la verità del Padre su tutte le cose.
Tutti in casa abbiamo un crocifisso. Fermiamoci ogni tanto davanti a quella croce anche senza dir niente. Quella croce che può sembrare sconfitta, scandalo è la chiave per entrare nel cuore di Dio.
Ci aiuti Maria con la sua fede, la sua umanità e il suo amore a stare come lei accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei fratelli, per portarvi conforto e condivisione.
ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE 2025-2
Se dovessimo organizzare una festa, un momento di gioia insieme, ci verrebbero in mente tanti motivi …, motivi umani legati a fatti positivi del nostro vivere quotidiano.
Ci sono delle feste anche nell'ambito spirituale… Le celebrazioni dei sacramenti e le feste liturgiche dell’anno…
Ma forse non vi sarà mai venuto in mente che i cristiani festeggiano una realtà che fa tremare il mondo: la festa della Croce!
Magari direte che non è una ricorrenza proprio da festeggiare: la Croce ci "parla" tanto di sofferenza. E allora dobbiamo cercare di capire bene perché oggi la Chiesa, festeggia "L'Esaltazione della Croce". Come sempre lasciamoci guidare dal Vangelo. "Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna."
La prima lettura ci ha ricordato come il popolo d'Israele nel deserto aveva iniziato a mormorare, a perdere la fiducia in Dio e, a causa di questa mancanza di fede, il Signore mandò dei serpenti che mordevano gli israeliti causandone la morte. A questo punto il popolo d'Israele si rese conto che questo peccato aveva procurato tanto male e chiese a Mosè di intercedere presso Dio perché la punizione terminasse. Dio ascoltò la preghiera di Mosè e ordinò di innalzare su di un'asta un serpente di rame. Chiunque morso dal serpente avrebbe rivolto il suo sguardo a questa asta con il serpente di rame sarebbe rimasto in vita.
Per noi cristiani cosa significa?
Che chiunque incontra la sofferenza, se si rivolge a Cristo può ritrovare la vita!
Il nostro quotidiano è fatto anche di momenti difficili.
A volte momenti di difficoltà fisica come una malattia…; a volte momenti di sofferenza spirituale come il sentirsi tremendamente soli, non sentirsi capiti da nessuno. Queste situazioni in noi, a qualsiasi età, causano tristezza, difficoltà di vivere con gioia.
Come esseri umani cerchiamo una soluzione al soffrire, alle difficoltà… E cosa facciamo il più delle volte? Quando c'è una difficoltà cerchiamo di…dimenticarla! ma poi la ritroviamo.
Vi faccio un esempio semplice, magari banale per darvi un'idea. Se non ci sentiamo compresi in famiglia la soluzione che viene in mente è chiudersi ancora di più, barricarsi dentro di noi e cercare all’esterno altre persone con cui parlare cancellando dalla nostra vita la famiglia. Questa è la strada che ci sembra più semplice, la giusta reazione…
Ma c'è anche un'altra via, che ci sembra più in salita ma che porta frutti buoni, come ad esempio cercare in famiglia di manifestare le proprie incomprensioni, anche con dei piccoli accenni di dialogo.
Nel primo caso noi sfuggiamo alla difficoltà; nel secondo caso noi l'affrontiamo. Sapete, ci vuole più coraggio ad affrontare le situazioni che a chiudere la porta e andare via…
Il cristiano è l'uomo del coraggio, l'uomo che vince le difficoltà non con la forza delle armi o del non dialogo ma vince la sofferenza con la forza dell'amore.
Alzare gli occhi, alzare la nostra vita quando soffriamo verso Gesù significa proprio percorrere la strada che Gesù ha scelto: la strada dell'amore, della condivisione.
Percorrere la strada di Gesù ci porta a vedere la Croce non come uno strumento di morte. Gesù, nel vivere la Sua Croce ha sperimentato la resurrezione. E lo ha fatto e lo fa per ognuno di noi.
Il soffrire vissuto nell'amore ci porta alla resurrezione. Per questo i cristiani sono gli uomini della speranza, del dialogo, della gioia. Il mondo intorno a noi risolve le difficoltà con la violenza, con la sopraffazione; il cristiano invece è portatore del perdono.
Sì perché la Croce è il segno più grande del perdono, il segno che la morte viene sconfitta dalla vita.
Viviamo come tutti gli esseri umani immersi in questo mondo. Lavoriamo, mangiamo, andiamo a scuola, soffriamo, ci arrabbiamo, ci divertiamo, ma la morte non è la fine della vita.
La morte è stata sconfitta da Cristo e chi vive in Cristo ha sconfitto ogni morte.
Di fronte a questa notizia, la vita non è forse una meravigliosa storia di gioia? E allora possiamo celebrare con gioia anche la Festa della Croce che ci dona la vita!
ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE 2025-3
La festa liturgica che stiamo celebrando viene chiamata Esaltazione della Santa Croce.
Ora, si esalta una cosa che piace, una persona che si ammira, un evento che si celebra. In altri termini, si esalta qualcosa o qualcuno che è grande, che ha meriti particolari. Si esalta un eroe che ha compiuto gesta spettacolari di salvataggio.
Ma si può esaltare la croce? Come è possibile esaltare un simbolo di sofferenza, rinuncia, dolore? Nessuno è così masochista da esaltare le sue sofferenze, il suo dolore, le sue sconfitte.
Se, però, la croce è simbolo di amore, di servizio, di altruismo, di generosità e gratuità, cambia il discorso. Basta ricordare i molti esempi di gratuità, servizio, generosità che i cristiani danno in tutte le parti del mondo.
Portare la croce, per il discepolo di Gesù, non vuol dire andare in giro a piangere, lamentarsi, fare il lutto, predire disgrazie. In sintesi, portare la croce vuol dire amare. Portare la croce con Gesù vuol dire amare come ha amato Lui.
Gesù ha detto: “Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri.” Il suo comandamento è nuovo, perché indica un modo nuovo di amare Dio e il prossimo.
Nel comandamento di Gesù, la misura è Lui stesso, e, cioè, una misura divina, non più solo umana. Questa misura divina lo ha spinto a morire e dare la propria vita per tutti gli uomini, e richiede un amore come il Suo, disposto al sacrificio, a donare sé stessi in modo generosamente altruistico, pratico e attivo.
Amare come ha amato Gesù comporta anzitutto che l’amore sia chiaro, proprio come l’evento della sua croce. Nella sua vita e sulla croce, in ogni suo gesto, Gesù è stato la trasparenza del Padre. Allo stesso modo la Chiesa, nelle molteplici forme del suo servizio, deve rivelare il volto di Dio, non sé stessa.
L’amore di Gesù, inoltre, è gratuito oltre ogni misura. San Paolo, nella lettera ai Romani ha scritto: “Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; … ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”
Chi contempla il Crocifisso scorge un amore tanto gratuito e sconfinato da apparire incredibile. Con il suo amore di preferenza per i peccatori e i lontani, per i poveri e gli esclusi, che si estende a tutti, compresi i nemici, Gesù ha manifestato quella gratuità e sovrabbondanza di amore che caratterizzano tutto l’agire di Dio.
Perciò la Chiesa e ciascun cristiano devono a loro volta improntare alla gratuità e sovrabbondanza tutte le forme di servizio all’uomo, caratterizzandole con la predilezione per gli ultimi.
Infine, l’amore di Gesù salva e libera dal male morale oltre che dal male fisico. Infatti, non basta essere guariti nel corpo per essere salvati nell’anima, l’amore di Gesù libera gli uomini dal peccato e dalle sue conseguenze.
In realtà, tutti gli esseri umani hanno bisogno di essere salvati non solo dalle malattie, ma da una quantità di mali: dall’ignoranza, dall’incertezza, dalla confusione; dal bisogno di pane, di affetto, di dignità, dall’errore, dal peccato. In una parola, dal male in tutte le sue forme ed espressioni.
Ascoltiamo il Papa che ci dice: “Guardiamo alla croce, sulla quale il Figlio di Dio è morto per la nostra salvezza. Essa è la risposta di Dio al male e al peccato dell’uomo. È una risposta di amore, di misericordia e di perdono. Mostriamo questa Croce al mondo e glorifichiamola nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità”
In Maria ciascuno di noi è chiamato a riscoprire l’alfabeto della vita, riscoprire sé stesso come colui che sa accogliere il fratello bisognoso senza speranza e amore.
In Maria diventiamo capaci di correre incontro all’altro, mano aperta al dono della riconciliazione e della pace.
Maria ci insegni ad accogliere, lettera per lettera, la più bella Parola di Dio, Gesù suo Figlio, vita per tutti noi.
Ci aiuti Maria a stare come lei accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, per portarvi conforto e condivisione.
ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE 2025-4
La liturgia di questa festa dell'Esaltazione della Croce come è nata? Non abbiamo già celebrato la croce il Venerdì santo?
Si, ma secondo una tradizione molto antica, in questo giorno nell'anno 399 fu esposta e adorata per la prima volta, nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, la reliquia della Croce che era stata appena ritrovata da Elena, madre dell'imperatore Costantino.
Questa festa fu poi estesa a tutta la cristianità e il fatto che la Chiesa la celebri, indica l'importanza che deve avere per un cristiano il mistero della croce di Cristo e quindi la necessità di comprendere sempre più e sempre meglio quello che crediamo di sapere già.
Per noi, come per la stragrande maggioranza delle persone, credenti o no, battezzate o no, parlare della croce è come parlare di sofferenza, di dolore, di ignominia, di morte, quella morte in croce che al tempo di Gesù i Romani infliggevano solo agli schiavi e ai malfattori, ma mai ai cittadini romani, tanto essa era ritenuta disonorante.
Per la Chiesa invece essa è il segno dell'amore più grande, e il trono glorioso del Re divino e perciò ci fa proclamare all'inizio le parole di S. Paolo ai Galati: «Di nulla mai ci glorieremo se non della Croce di Gesù Cristo, nostro Signore».
E perché? Perché «egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione. Per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati».
Fratelli, per capire un poco l'enormità di queste parole, per renderci conto di quello che ci viene detto, proviamo a sostituire la croce con la sedia elettrica o con la ghigliottina.
Se Gesù invece che duemila anni fa in Palestina sotto la dominazione romana, fosse vissuto ai giorni nostri negli Stati Uniti d'America, quella sarebbe stata la morte che gli sarebbe toccata e noi, sulle pareti delle nostre case o nei dipinti delle nostre chiese avremmo, invece della croce, uno di quei due strumenti di morte.
Ebbene, in questo caso la sedia elettrica o la ghigliottina sarebbero stati per noi cristiani un segno di gloria e uno strumento di salvezza.
Scandaloso, vero? E già, la croce è scandalosa, lo è sempre stata e lo sarà sempre.
Scriveva ancora san Paolo che la croce per chi non crede è solo follia, è solo pazzia, ma per chi crede è la rivelazione di un Dio pazzo si, ma d'amore, che ha voluto essere uomo e condividere tutta la nostra esperienza e il nostro peccato fino alla morte e alla morte di croce.
Perché la croce non ci rivela solo Dio, ma rivela noi a noi stessi, ci rivela l'enormità del peccato, ci dice: Guarda quanto mi sei costato, guarda le conseguenze del male che fai.
Pochi o tanti, piccoli o grandi, sappi che ognuno dei tuoi peccati ha fatto più grande il peccato del mondo e ha aggiunto una goccia alla mia sofferenza senza limiti.
E non pensare che la croce appartenga ormai al passato e che ora non ci sia che la risurrezione e la gloria. No, ogni mistero della vita dì Cristo è eternamente presente e Gesù è in agonia sino alla fine del mondo.
Ma è anche vero che la sua croce continua ad essere non solo strumento dì morte, e quindi giudizio sul mondo e su ciascuno di noi, ma fonte di vita.
È da lì che scaturisce tutto il nostro bene, e guardando ad essa che otteniamo la guarigione dell'anima, e lei che ci apre le porte del paradiso e in questa valle di lacrime, dove l'esistenza è tutto un groviglio di dolori, di difficoltà, di sacrifici, la croce di Cristo può trasformare tutto in grazia dì salvezza per noi e per i fratelli.
No, Gesù crocifisso non è una consolazione a buon mercato, ma è un invito a seguirlo sulla strada dolorosa del Calvario, nella morte di ogni giorno a noi stessi, al nostro orgoglio al nostro egoismo.
La morte per la morte? NO, la morte per una vita nuova, per un amore più grande e più forte, per una liberazione di cui abbiamo tutti urgente bisogno.
Comprendiamo fino in fondo il dolore di una madre che vede morire il suo figlio, ancor di più il dolore di Maria che vede morire il Figlio di Dio sulla croce, ma siamo grati ad entrambi per il loro amore di donazione che ci salva.
ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE 2025-5
La liturgia di questa domenica ci presenta un argomento decisamente fuori moda, anzi fuori luogo per questo mondo: l’esaltazione della croce, festeggiare la croce.
Sapete, dobbiamo ritrovare il coraggio non solo di dirlo al mondo ma anche a noi stessi. Che i cristiani professano la fede in un Dio il cui figlio, vero uomo è vero Dio, è morto soffrendo in croce.
Che dramma per noi cristiani il non capire, scappare di fronte a questa realtà, non sapere accompagnare chi porta la croce.
Ormai anche nei nostri discorsi, nei nostri modi di vivere, la sofferenza è qualcosa di senza senso, di vuoto, una cosa da combattere. Chi mai in questo mondo ci insegna a soffrire?
Diciamoci la verità, gli sforzi quotidiani sono tesi ad eliminare la sofferenza. Siamo abituati a costruirci delle uscite di sicurezza, una via di fuga, in ogni situazione.
Ed invece la croce, dobbiamo metterlo, che non ha uscite di sicurezza. Quando ci sei sopra, ci sei sopra e basta
C’era sofferenza nella malattia, la sofferenza nelle difficoltà di un matrimonio fallito, la sofferenza di un lavoro perso, la sofferenza nel non accettare il proprio corpo, la sofferenza nel non accettare certi aspetti della propria vocazione, la sofferenza che il male ricevuto causa in noi ferite sanguinanti nel cuore che ci danno il dolore del vivere, la sofferenza del vivere anni in una cella di carcere, la sofferenza di essere clandestini nel mondo, e altre 1000 sofferenze.
A questo riguardo, le soluzioni che l’egoismo si presenta sono di una finezza incredibile.
Tradimenti, quante famiglie sfasciate, quanti figli senza genitori, quanti genitori senza figli, quanti letti di malattia abbandonati come se fossero letti vuoti, quanti suicidi infiocchettati come atti di volontà nell’interrompere il soffrire, o quanti omicidi e femminicidi per una relazione andata male, quanti stranieri di questo mondo nel mondo, quanta violenza nelle quattro mura di una casa che è diventata un inferno, quanti furti nei confronti dei nostri prossimi
E se la sofferenza invece che segno di morte ci portasse alla vita?
E se la croce fosse il segno della vita eterna che inizia?
A questi ultimi, se, il mondo ha già risposto con un no, tu Cristiano che mi ascolti come rispondi, cosa scegli?
Scegliere per noi significa vivere e condividere. Vivere la nostra croce, il nostro soffrire come il donare il nostro amore a Cristo, come un canto di lode di lode e gratitudine.
Sì, proprio in quel matrimonio, proprio in quella malattia, proprio in quella solitudine tu sperimenti la vita.
Dove anche le lacrime hanno una pienezza di vita, dove sono così pulite che ti rendono l’anima e il volto splendente.
Conosciamo tutti delle persone che vivono la propria croce nella risurrezione. Conosciamo bene il loro volti e conosciamo i giorni in cui mollano e i giorni in cui riprendono a salire.
È un combattimento, ma è vita, sì vita che vale la pena vivere.
Condividere significa anche non avere paura di quello che ti porti dentro, non aver paura di vedere e sapere che anche quella è la strada che tu stesso percorrerai.
C’è un’intimità con Cristo che solo sulla croce l’uomo può sperimentale, sentire sulla croce il respiro di Cristo che ti ha accanto, che condivide la tua scomoda posizione in croce
La croce ci insegna ad amare, di un amore che il mondo non conosce perché suscita ribrezzo o sorrisi di imbarazzo.
La croce di Cristo ci insegna il perdono, quello che neppure tu ti aspetteresti di vivere
Un profeta dei nostri tempi, Don Tonino Bello, diceva: è la croce che ci insegna come amare i nemici. La croce da prendere per il braccio lungo, come fece Gesù e non da impugnare per il braccio corto, come facciamo noi, usandola come una spada che ferisce e uccide.
E tu, caro fratello, la tua croce la porti per il braccio lungo o per il braccio corto?
FESTA DELL’ADDOLORATA 15 SETTEMBRE
Ai piedi della Croce si realizza per Maria la profezia di Simeone: il suo cuore di Madre è trafitto dal dolore. Come Gesù ha pianto, così anche Maria ha certamente pianto davanti al corpo torturato del Figlio. Per Maria è una prova terribile, ma la sua fede è incrollabile.
Gesù crocifisso la costituisce madre di tutti gli uomini, quando le dice: “Donna ecco tuo figlio”; e rivolto a Giovanni aggiunge: “Ecco tua madre!”.
Di fronte a questo mistero di amore sorgono spontanei due sentimenti. Il primo è un senso di gratitudine verso la Madre addolorata, ai piedi della croce Maria coopera con il Figlio alla nostra salvezza.
Il secondo sentimento che suscita l’Addolorata è il desiderio di contemplare il Crocifisso, di lasciarci stupire da Lui.
La croce è il grande mistero da contemplare senza fine. Non è un oggetto di devozione, di decorazione o abbellimento e neppure il simbolo della mortificazione, ma è la rivelazione massima dell’amore di Dio per noi.
Quale significato per noi che siamo qui ad onorare la Madonna?
Penso che possa essere sintetizzato nel comandamento dell’amore.
Tante volte nelle nostre comunità si parla o si sparla a partire da eventi, da persone, da scelte fatte o non fatte…, ma Gesù non ama questa cronaca da salotto per i suoi discepoli, che siamo noi! Vuole che entriamo nelle cronache per la testimonianza dell’amore: “che vi amiate gli uni gli altri”.
È il nostro amarci che deve fare notizia, è il nostro costruire una comunità dell’amore che deve fare notizia, è il nostro saperci perdonare che deve fare notizia, è il nostro pregare sostando davanti a Gesù, sorgente dell’amore, che deve fare notizia!
Come sarebbe bello che nelle nostre comunità quando si parla si parli bene, ma soprattutto quando l’amore che Gesù ci ha insegnato e comandato diventa vita in ciascuno di noi.
Gesù si è appassionato alla volontà del Padre e l’ha amata sino in fondo.
Maria guardando il suo Figlio Gesù ha imparato pure Lei a fare di tutta la sua vita un sì: l’amore di Dio Lei non l’ha mai tradito; lo ha accolto, lo ha fatto suo, vi ha corrisposto con la sua vocazione: “eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che tu hai detto”.
Ogni volta che Maria ha detto il suo sì a Dio - e questo sì non lo si dice una volta per sempre, ma ogni giorno, anche se non è sempre facile dirlo, costa e anche tanto.
Maria è oggi nella gioia e nella gloria della Risurrezione. Le lacrime versate ai piedi della Croce si sono trasformate in un sorriso che nulla mai spegnerà.
Questo sorriso di Maria è per tutti: tuttavia si indirizza in modo speciale verso coloro che soffrono, affinché in esso possano trovare conforto e sollievo.
In quell’espressione molto semplice di tenerezza che è il sorriso, percepiamo che la nostra unica ricchezza è l’amore che Dio ha per noi e che passa attraverso il cuore di Maria.
Cercare questo sorriso significa innanzitutto cogliere la gratuità dell’amore; significa saperlo trasmettere a coloro che incontriamo, col nostro impegno di vivere secondo la parola del suo Figlio diletto, così come il bambino cerca di suscitare il sorriso della madre facendo ciò che a lei piace.
E noi sappiamo ciò che piace a Maria: “Fate quello che Gesù vi dirà”. Parole che anche questa sera ripete a noi.
