AVVENTO 2024
PREPARAZIONE DEL SANTO NATALE
NEL SANTUARIO
MADONNA DEL PIANTO
Servire la vita,
servire la Speranza
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27 NOVEMBRE Il Giubileo del 2025
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ORE 15
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4 DICEMBRE Gesù cerca casa e Gesù offre casa 1a parte
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ORE 15 |
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11 DICEMBRE Gesù cerca casa e Gesù offre casa 2a parte
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18 DICEMBRE Il Natale di Gesù
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Riflessioni offerte
da don Giuseppe Ravasio
PELLEGRINI DI SPERANZA
SERVIRE LA VITA, SERVIRE LA SPERANZA
1- Catechesi di Avvento 2024
PREGHIAMO INSIEME
Padre che sei nei cieli, la fede che ci hai donato nel tuo figlio Gesù Cristo, nostro fratello,
e la fiamma di carità effusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo, ridestino in noi, la beata speranza per l’avvento del tuo Regno.
La tua grazia ci trasformi in coltivatori operosi dei semi evangelici che lievitino l’umanità e il cosmo, nell’attesa fiduciosa dei cieli nuovi e della terra nuova, quando vinte le potenze del Male, si manifesterà per sempre la tua gloria.
La grazia del Giubileo ravvivi in noi Pellegrini di Speranza, l’anelito verso i beni celesti e riversi sul mondo intero la gioia e la pace del nostro Redentore. A te Dio benedetto in eterno sia lode e gloria nei secoli.Amen
LA PAROLA DI DIO
«La speranza non delude» (Rm 5,5)
«Spes non confundit», «la speranza non delude» (Rm 5,5) è il messaggio centrale del Giubileo 2025, la cui Bolla di Indizione è stata pubblicata il 9 maggio 2024. «Oltre ad attingere la speranza nella grazia di Dio, siamo chiamati a riscoprirla anche nei segni dei tempi che il Signore ci offre», scrive papa Francesco nel testo della Bolla. «Ma i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza» (n. 7).
Uno di questi segni è la pace, esigenza che interpella tutti ed esige progetti concreti per realizzarla.
«Il prossimo Giubileo, dunque, sarà un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio. Ci aiuti pure a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato» (Bula, n. 25).
IL GIUBILEO DEL 2025
Che cos'è il Giubileo
"Giubileo" è il nome di un anno particolare: sembra derivare dallo strumento utilizzato per indicarne l’inizio; si tratta dello yobel, il corno di montone, il cui suono annuncia il Giorno dell’Espiazione (Yom Kippur). Questa festa ricorre ogni anno, ma assume un significato particolare quando coincide con l’inizio dell’anno giubilare. Ne ritroviamo una prima idea nella Bibbia: doveva essere convocato ogni 50 anni, poiché era l’anno ‘in più’, da vivere ogni sette settimane di anni (cfr. Lev 25,8-13).
Anche se difficile da realizzare, era proposto come l’occasione nella quale ristabilire il corretto rapporto nei confronti di Dio, tra le persone e con la creazione, e comportava la remissione dei debiti, la restituzione dei terreni alienati e il riposo della terra.
Citando il profeta Isaia, il vangelo secondo Luca descrive in questo modo anche la missione di Gesù: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19; cfr. Is 61,1-2).
Queste parole di Gesù sono diventate anche azioni di liberazione e di conversione nella quotidianità dei suoi incontri e delle sue relazioni.
Bonifacio VIII nel 1300 ha indetto il primo Giubileo, chiamato anche “Anno Santo”, perché è un tempo nel quale si sperimenta che la santità di Dio ci trasforma.
La cadenza è cambiata nel tempo: all’inizio era ogni 100 anni; viene ridotta a 50 anni nel 1343 da Clemente VI e a 25 nel 1470 da Paolo II.
Vi sono anche momenti ‘straordinari’: per esempio, nel 1933 Pio XI ha voluto ricordare l’anniversario della Redenzione e nel 2015 papa Francesco ha indetto l’Anno della Misericordia.
Diverso è stato anche il modo di celebrare tale anno: all’origine coincideva con la visita alle Basiliche romane di S. Pietro e di S. Paolo, quindi con il pellegrinaggio, successivamente si sono aggiunti altri segni, come quello della Porta Santa. Partecipando all’Anno Santo si vive l’indulgenza plena.
Segni del Giubileo
Pellegrinaggio
Il giubileo chiede di mettersi in cammino e di superare alcuni confini. Quando ci muoviamo, infatti, non cambiamo solamente un luogo, ma trasformiamo noi stessi. Per questo, è importante prepararsi, pianificare il tragitto e conoscere la meta. In questo senso il pellegrinaggio che caratterizza questo anno inizia prima del viaggio stesso: il suo punto di partenza è la decisione di farlo. L’etimologia della parola ‘pellegrinaggio’ è decisamente eloquente e ha subìto pochi slittamenti di significato. La parola, infatti, deriva dal latino per ager che significa “attraverso i campi”, oppure per eger, che significa “passaggio di frontiera”: entrambe le radici rammentano l’aspetto distintivo dell’intraprendere un viaggio.
Abramo, nella Bibbia5r, è descritto così, come una persona in cammino: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre” (Gen 12,1), con queste parole incomincia la sua avventura, che termina nella Terra Promessa, dove viene ricordato come «arameo errante» (Dt 26,5).
Anche il ministero di Gesù si identifica con un viaggio a partire dalla Galilea verso la Città Santa: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme” (Lc 9,51). Lui stesso chiama i discepoli a percorrere questa strada e ancora oggi i cristiani sono coloro che lo seguono e si mettono alla sua sequela.
Il percorso, in realtà, si costruisce progressivamente: vi sono vari itinerari da scegliere, luoghi da scoprire; le situazioni, le catechesi, i riti e le liturgie, i compagni di viaggio permettono di arricchirsi di contenuti e prospettive nuovi.
Anche la contemplazione del creato fa parte di tutto questo ed è un aiuto ad imparare che averne cura “è espressione essenziale della fede in Dio e dell’obbedienza alla sua volontà”
(Francesco, Lettera per il Giubileo 2025).
Il pellegrinaggio è un’esperienza di conversione, di cambiamento della propria esistenza per orientarla verso la santità di Dio. Con essa, si fa propria anche l’esperienza di quella parte di umanità che, per vari motivi, è costretta a mettersi in viaggio per cercare un mondo migliore per sé e per la propria famiglia.
Porta Santa
Dal punto di vista simbolico, la Porta Santa assume un significato particolare: è il segno più caratteristico, perché la meta è poterla varcare. La sua apertura da parte del Papa costituisce l’inizio ufficiale dell’Anno Santo.
Originariamente, vi era un’unica porta, presso la Basilica di S. Giovanni in Laterano, che è la cattedrale del vescovo di Roma. Per permettere ai numerosi pellegrini di compiere il gesto, anche le altre Basiliche romane hanno offerto questa possibilità. Nel passare questa soglia, il pellegrino si ricorda del testo del capitolo 10 del vangelo secondo Giovanni: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Il gesto esprime la decisione di seguire e di lasciarsi guidare da Gesù, che è il Buon Pastore. Del resto, la porta è anche passaggio che introduce all’interno di una chiesa. Per la comunità cristiana, non è solo lo spazio del sacro, al quale accostarsi con rispetto, con comportamenti e con vestiti adeguati, ma è segno della comunione che lega ogni credente a Cristo: è il luogo dell’incontro e del dialogo, della riconciliazione e della pace che attende la visita di ogni pellegrino, lo spazio della Chiesa come comunità dei fedeli.
A Roma questa esperienza diventa carica di uno speciale significato, per il rimando alla memoria di S. Pietro e di S. Paolo, apostoli che hanno fondato e formato la comunità cristiana di Roma e che con i loro insegnamenti e il loro esempio sono riferimento per la Chiesa universale.
Il loro sepolcro si trova qui, dove sono stati martirizzati; insieme alle catacombe, è luogo di continua ispirazione.
Professione di fede
La professione di fede, chiamata anche “simbolo”, è un segno di riconoscimento proprio dei battezzati; vi si esprime il contenuto centrale della fede e si raccolgono sinteticamente le principali verità che un credente accetta e testimonia nel giorno del proprio battesimo e condivide con tutta la comunità cristiana per il resto della sua vita.
Esistono varie professioni di fede, che mostrano la ricchezza dell’esperienza dell’incontro con Gesù Cristo. Tradizionalmente, però, quelle che hanno acquisito un particolare riconoscimento sono due:
il credo battesimale della chiesa di Roma
e il credo niceno-costantinopolitano,
elaborato originariamente nel 325 dal concilio di Nicea, nell’attuale Turchia, e poi perfezionato in quello di Costantinopoli nel 381
“Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.
Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” (Rm 10,9-10). Questo testo di S. Paolo sottolinea come la proclamazione del mistero della fede richieda una conversione profonda non solo nelle proprie parole, ma anche e soprattutto nella propria visione di Dio, di se stessi e del mondo.
«Recitare con fede il Credo significa entrare in comunione con Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ed anche con tutta la Chiesa che ci trasmette la fede e nel seno della quale noi crediamo» (CCC 197).
Carità
La carità costituisce una caratteristica principale della vita cristiana.
Nessuno può pensare che il pellegrinaggio e la celebrazione dell'indulgenza giubilare possano essere relegati a una forma di rito magico, senza sapere che è la vita di carità che dà loro il senso ultimo e l'efficacia reale.
D’altronde, la carità è il segno preminente della fede cristiana e sua forma specifica di credibilità. Nel contesto del Giubileo non sarà da dimenticare l'invito dell’apostolo Pietro: “Soprattutto conservate tra voi una grande carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,8).
Secondo l'evangelista Giovanni, l'amore verso il prossimo, che non viene dall’uomo, ma da Dio, permetterà di riconoscere nel futuro i veri discepoli di Cristo. Risulta, quindi, evidente che nessun credente può affermare di credere se poi non ama e, viceversa, non può dire di amare se non crede.
Anche l'apostolo Paolo ribadisce che la fede e l'amore costituiscono identità del cristiano; l'amore è ciò che genera perfezione (cfr. Col 3,14), la fede ciò che permette all'amore di essere tale.
La carità, dunque, ha un suo spazio peculiare nella vita di fede; alla luce dell’Anno Santo, inoltre, la testimonianza cristiana deve essere ribadita come forma maggiormente espressiva di conversione.
Riconciliazione
Il giubileo è un segno di riconciliazione, perché apre un «tempo favorevole» (cfr. 2Cor 6,2) per la propria conversione.
Si mette Dio al centro della propria esistenza, muovendosi verso di Lui e riconoscendone il primato.
Anche il richiamo al ripristino della giustizia sociale e al rispetto per la terra, nella Bibbia, nasce da una esigenza teologica: se Dio è il creatore dell’universo, gli si deve riconoscere priorità rispetto ad ogni realtà e rispetto agli interessi di parte. È Lui che rende santo questo anno, donando la propria santità.
Come ricordava papa Francesco nella bolla di indizione dell’anno santo straordinario del 2015: “La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere […].
Questa giustizia di Dio è la misericordia concessa a tutti come grazia in forza della morte e risurrezione di Gesù Cristo.
La Croce di Cristo, dunque, è il giudizio di Dio su tutti noi e sul mondo, perché ci offre la certezza dell’amore e della vita nuova” (Misericordiae Vultus, 21).
Concretamente, si tratta di vivere il sacramento della riconciliazione, di approfittare di questo tempo per riscoprire il valore della confessione e ricevere personalmente la parola del perdono di Dio.
Vi sono alcune chiese giubilari che offrono con continuità questa possibilità.
Puoi prepararti seguendo una traccia.
Indulgenza Giubilare
L’indulgenza è manifestazione concreta della misericordia di Dio, che supera i confini della giustizia umana e li trasforma.
Questo tesoro di grazia si è fatto storia in Gesù e nei santi: guardando a questi esempi, e vivendo in comunione con loro, si rafforza e diviene certezza la speranza del perdono e per il proprio cammino di santità.
L’indulgenza permette di liberare il proprio cuore dal peso peccato, perché la riparazione dovuta sia data in piena libertà.
Concretamente, questa esperienza di misericordia passa attraverso alcune azioni spirituali che vengono indicate dal Papa.
Chi, per malattia o altro, non può farsi pellegrino è comunque invitato a prendere parte al movimento spirituale che accompagna quest’Anno, offrendo la propria sofferenza e la propria vita quotidiana e partecipando alla celebrazione eucaristica.
Preghiera
Vi sono molti modi e molte ragioni per pregare; alla base vi è sempre il desiderio di aprirsi alla presenza di Dio e alla sua offerta di amore.
La comunità cristiana si sente chiamata e sa che può rivolgersi al Padre solo perché ha ricevuto lo Spirito del Figlio. Ed è, infatti, Gesù ad aver affidato ai suoi discepoli la preghiera del Padre Nostro, commentato anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica (cfr. CCC 2759-2865).
La tradizione cristiana offre altri testi, come l’Ave Maria, che aiutano a trovare le parole per rivolgersi a Dio: «È attraverso una trasmissione vivente, la Tradizione, che, nella Chiesa, lo Spirito Santo insegna ai figli di Dio a pregare» (CCC 2661).
I momenti di orazione compiuti durante il viaggio mostrano che il pellegrino ha le vie di Dio “nel suo cuore” (Sal 83,6).
Anche a questo tipo di ristoro servono le soste e le varie tappe, spesso fissate attorno ad edicole, santuari, o altri luoghi particolarmente ricchi dal punto di vista del significato spirituale, dove ci si accorge che – prima e accanto – altri pellegrini sono passati e che cammini di santità hanno percorso quelle stesse strade. Le vie che portano a Roma, infatti, spesso coincidono con il cammino di molti santi.
Pellegrini di speranza
DALLA LETTERA DEL NOSTRO VESCOVO
L’anno pastorale che stiamo iniziando sarà fortemente connotato dal Giubileo indetto dal Papa per il 2025. Sarà un’occasione di Grazia, in cui sperimentare intensamente la gioia del tornare a Dio, dell’appartenere alla Chiesa, dello sperare insieme a tutta l’umanità un mondo nuovo, più giusto e più fraterno. Una speranza che oltrepassa i confini della storia, una speranza più forte della morte.
Le guerre che la cronaca quotidiana mette davanti agli occhi, l’inverno demografico e il degrado ambientale che caratterizzano la nostra civiltà, il disorientamento generato da un mondo che cambia rapidamente, le fatiche del vivere che ciascuno di noi sperimenta, possono farci cadere in letture depressive dell’esistenza, della storia, della stessa missione della Chiesa, che paralizzano la speranza e svuotano di senso ogni cammino.
Il Giubileo ci invita a farci “pellegrini di speranza”, per rianimare nel nostro cuore e in quello degli altri, a partire da un rinnovato incontro con il Signore, la fiducia squisitamente pasquale di una vita nuova per tutti. Non si tratta di ingenuo ottimismo o di eroico volontarismo: coltiviamo e chiediamo la virtù teologale della speranza che è dono di Dio e frutto della nostra fede in Lui.
Consapevoli di essere una Chiesa sempre più fragile, ci mettiamo con umiltà a servizio di un mondo ancora più fragile; coscienti del nostro peccato annunciamo a tutti il Vangelo della misericordia; immersi in una complessità sempre più articolata e connessa, diffidiamo da soluzioni frettolose, semplificatorie, o addirittura aggressive e riproponiamo con limpidezza evangelica la conversione del cuore, che sola rende possibile un mondo realmente diverso; travolti dal mondo globalizzato e accelerato, osiamo riproporre la virtù della pazienza, che si fa tessitura lenta, silenziosa e quotidiana di rapporti nuovi e generativi, sostenuti e guidati dallo Spirito Creatore, in attesa di un compimento che non può essere solo frutto delle nostre mani, ma esito di una promessa a cui vogliamo dar credito.
Tutto questo sia il nostro Giubileo!
L’anno giubilare proposto nella Legge di Mosè, doveva ristabilire l’ordine e la giustizia sociale, nel rispetto del creato, attraverso la liberazione degli schiavi, il condono dei debiti, il ritorno al disegno originario di Dio per il suo popolo. In realtà, questo non si realizzò mai. L’attesa del Messia, alimentata dalla parola dei profeti e connotata dalla speranza, non esonerava dalla conversione del cuore, ma manifestava la fondamentale confidenza in Dio, a cui Gesù di Nazareth darà risposta.
Concludendo in preghiera
Santo Spirito del Padre, vento inafferrabile,
nella tua azione irresistibile travolgi tutti gli ostacoli che ancora precludono i passi al nostro cammino verso l’unità visibile di un mondo frammentato e lacerato.
Scuoti i pregiudizi, scrolla le sicurezze,
fa’ piegare le resistenze più ostinate.
Vieni fra noi, Santo Spirito d’amore!
Santo Spirito del Figlio, fuoco purificatore,
incendia i nostri cuori con il tuo amore
e non permettere che ci manteniamo prudentemente a distanza di sicurezza.
Fa’ che non confondiamo il nostro timido tepore con la tua fiamma divorante.
È questa la luce che tu ci chiedi di portare ai fratelli: guida, sostieni e incoraggia i nostri passi.
Vieni Santo Spirito di Pentecoste,
tu ci fai comprendere che il cammino
verso la riconciliazione degli uomini
e l’unità della Chiesa richiede la nostra conversione.
Non c’è conversione senza cambiamento,
e non c’è cambiamento senza purificazione.
Per questo invochiamo da te la forza
e il desiderio di lasciarci plasmare.
Vieni fra noi, Santo Spirito d’amore!
a noi, Santo Spirito d’amore!
PELLEGRINI DI SPERANZA
SERVIRE LA VITA, SERVIRE LA SPERANZA
2 - Catechesi di Avvento 2024
PREGHIAMO INSIEME
Spirito Santo, Consolatore mio, Ti invoco con tutto il cuore, perché discenda su di me la tua luce e la tua forza. Desidero ardentemente che il mio cuore si apra alla tua grazia, affinché possa sperimentare in pienezza e verità la misericordia e la bontà del Signore. Inonda la mia anima del tuo amore, sciogli ogni nodo di risentimento e di rancore che mi lega al passato.
Aiutami a comprendere la profondità del perdono divino e a viverlo in ogni istante della mia vita. Donami la forza di perdonare a me stesso e agli altri, di lasciar andare il peso delle colpe
e di accogliere la libertà che sorga dalla tua misericordia. Voglio essere uno strumento nelle tue mani, capace di portare la tua consolazione a tutti coloro che sono feriti e disperati. Amen
GESU’ CERCA CASA E GESU’ OFFRE CASA
1a parte
Vivere il mistero dell’Incarnazione in famiglia.
TUTTI ABBIAMO BISOGNO DI CASA
Tutti, prima o poi, chi in un modo chi in altro, sentiamo bisogno di casa.
Sente il bisogno di una casa propria la coppia di fidanzati. Sente la nostalgia di casa l’emigrato. Sente il bisogno di pace, di tranquilla serenità chi è continuamente oberato dal lavoro, dalla vita piena di corse e di stress.
Vivendo in mezzo alle falsità, alle ipocrisie, alla mercificazione del corpo, alle paure sentiamo spesso il bisogno di trovare un angolo di verità, di pulizia, di bello in cui poter stare.
Sente il bisogno di casa il piccolo Extraterrestre del film E.T. quando puntando Il dito verso le stelle dice: “Telefono… casa”.
Sente la nostalgia di casa il figlio della parabola che da casa era scappato in cerca di avventura e sarà o il bisogno della fame o il ricordo della bontà del Padre che lo fanno mettere in cammino.
E l’uomo, legato alla materia, al tempo, alle cose non sente qualche volta la nostalgia del cielo?
Quanto è prezioso per un uomo o per una donna avere un posto, una casa, un luogo di riferimento, degli amici veri su cui poter contare quanto è importante non perdere la speranza che un luogo simile esista, quanto è bello sapere che qualcuno che ci ama ci aspetta.
GESU’ AMA LA CASA DEL PADRE
Gesù e il Padre sono una cosa sola nell’amore dello Spirito Santo, ma Gesù di buon grado ha accettato la volontà salvifica del Padre nei confronti dell’uomo ed ha lasciato “la sua casa” “per porre la sua dimora in mezzo a noi”.
Gesù ama l’umanità di cui fa parte ma sente anche il bisogno continuo della comunione con il Padre, ecco perché Gesù sovente prega: si alza presto al mattino “per recarsi in luoghi solitari a pregare”, va al tempio per celebrare le liturgie di lode, partecipa al sabato nella sinagoga, legge la parola, la medita, la prega, la commenta, la offre …
Anche in tutto quello che fa, predicazione, miracoli, rapporti umani porta sempre la presenza di Dio, il ricordo della casa del Padre, anzi, fa nascere nei suoi interlocutori il desiderio di arrivare un giorno in quella casa dove, senza morire, si può guardare Dio faccia a faccia.
Gesù quasi desidera che si compia in fretta tutta la sua opera per poter tornare al Padre e per poter aprire a noi una strada per giungere alla casa del Padre.
“C’è un battesimo che io debbo ricevere… e quanto desidero riceverlo in fretta”
GESU’ AMA LA SUA E LA NOSTRA UMANITA’
“E il Verbo si fece carne e mise la sua dimora in mezzo a noi”
Gesù non è arrivato in mezzo a noi come un Dio delle antiche mitologie, per farsi un giro turistico, innamorarsi di qualche bella donna, sfruttare l’umanità e poi tornarsene al suo Olimpo. Egli si è incarnato concretamente “Nel grembo della Vergine Maria”, cui Dio ha pensato fin dall’eternità per aprire a Gesù la porta sulla nostra umanità. Vero uomo, egli ha assunto in tutto la nostra natura umana eccetto che nel peccato. Gesù ama la sua umanità, la vive in pieno perché ama la nostra umanità, la vede come opera di Dio creatore, sa che tutto è stato fatto per Lui e in vista di Lui.
Gesù ama i piccoli (“Lasciate che i piccoli vengono a me”, “E prendendoli in braccio li accarezzava”, “Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli”). Gesù sa meravigliarsi e lodare Dio attraverso il creato (“Guardate i gigli del campo non filano e non tessono eppure il Padre vostro li ha vestiti meglio del re Salomone”, ”Ti ringrazio a Padre perché hai tenuto nascoste queste cose ai ricchi e ai potenti le e hai rivelate agli umili). Gesù sa rallegrarsi per le gioie degli uomini (partecipa alla festa di nozze, cambia l’acqua in vino, gli piace stare in compagnia e partecipare ad un buon banchetto). Gesù condivide le sofferenze degli uomini (“Ebbe compassione”, “Gesù scoppiò in pianto”, “Vedi come lo amava”), guarisce gli ammalati, libera gli ossessi, perdona i peccatori.
Gesù desidera che ogni uomo si riappropri dei veri valori della propria umanità mettendo Dio al centro, pensando a tutto come un dono che viene da Lui, accogliendo gli altri come fratelli, gioendo della misericordia e dell’amore di Dio che si manifesta anche nella concretezza del tempo e delle cose.
Ma nella umanità è entrato il peccato. Il male ha mistificato i fini del nostro vivere. Ciò che era dono è diventato un peso, il fratello è diventato un concorrente, la guerra e la violenza hanno insanguinato l’umanità, gli idoli del denaro, del potere e del successo, hanno richiesto e richiedono continuamente sacrifici umani. Gesù propone all’umanità, attraverso la misericordia e il perdono, la strada per uscirne, per essere salvati, per avere la possibilità di rinnovarsi totalmente. Ma gli uomini faticano a credere a Lui, sono lenti ad uscire dai propri ritualismi ed abitudini, preferiscono le ipocrisie, anche religiose, invece di accogliere l’acqua viva e zampillante di Gesù. E allora Gesù sente anche il peso del quotidiano, la non accoglienza, la falsità dell’ipocrisia, la supponenza di salvarsi da soli. Lui non si tira indietro e continua a proporre con forza la Verità di Dio ma l’incomprensione è forte, perfino i suoi amici, gli apostoli, in certi momenti dubitano di Lui, discutono tra loro su chi debba essere il primo ministro nel nuovo regno, cercano miracoli facili, in certi momenti si sentono addirittura di insegnare a Lui ciò che dovrebbe fare.
Gesù sente allora il bisogno di casa in questa umanità, il desiderio di qualcuno che lo accolga con semplicità e con fiducia, qualcuno che non riduca tutto a discussione religiosa, qualcuno che riceva i suoi doni con gratitudine… E non gli basta neanche la sua famiglia naturale. Con Maria, certamente ci sarà stato un rapporto talmente profondo e intimo che solo tra un Figlio e una madre del genere poteva esserci. Maria lo ha seguito con discrezione nella sua vita pubblica. Gesù non sa negarle niente, neanche un miracolo “banale” quello di trasformare acqua in vino. Gesù sa che potrà sempre contare sul suo amore anche per tutti gli uomini, infatti dalla croce ce la donerà, ma Gesù nella sua umanità sente il bisogno di una casa che superi le barriere della parentela umana. (“Chiunque fa la volontà di Dio mi è padre, madre, fratello e sorella”)
GESU’ HA BISOGNO DI “FAMIGLIA” DOVE DONARE E RICEVERE
Da quello che ci raccontano gli evangelisti Betania fu per Gesù la casa che divenne la sua famiglia dove lui poteva donare ed essere accolto da un amore semplice e sereno.
Betania intanto è famiglia ma non la classica famiglia composta da marito, moglie, bambini e magari anziani. Quella di Pietro era una famiglia classica. Qui a Betania vivono insieme tre fratelli (e non potrebbe forse essere anche questa una indicazione particolare: i cristiani devono vivere insieme da fratelli) non si parla di altre presenze anche se si può facilmente supporre che ci fossero dei famigli cioè dei servi che provvedevano ai campi e se si può capire facilmente che c’era un buon rapporto in tutto il paesino infatti in un’altra occasione troviamo Gesù a cena da Simone il lebbroso e sono presenti anche i tre fratelli.
Questi tre fratelli sono persone differenti tra loro.
Di Lazzaro sappiamo poco ma doveva essere un ebreo convinto, benestante conosciuto dagli scribi e dai sommi sacerdoti tant’è vero che dopo la sua risurrezione essi, per evitare troppo seguito a Gesù decidono di uccidere anche Lazzaro. Ma la caratteristica con cui Gesù stesso lo definisce è quella di “Amico” (“il nostro amico Lazzaro”), cioè è colui che ama Gesù e i suoi, è il confidente, è la persona su cui poter contare, è colui di cui ci si può fidare, con cui si può parlare certi della sua comprensione.
Marta è la signora della casa, quella che tiene le redini, probabilmente anche la borsa. Quello che fa non le pesa, ha occhi per vedere le necessità e le urgenze ed ha cuore perché la sua ospitalità sia premurosa, accogliente, soddisfacente. E’ la donna “umile” nel senso della concretezza, dei piedi per terra ma non è assolutamente gretta. Accetta anche una correzione dall’amico Gesù e sa anche con semplicità dire quello che pensa a Lui: “Se tu fossi stato qui…”. Lei crede in Gesù come crede nella conduzione domestica della sua casa. La sua è una fede spessa, non ha bisogno di troppi fronzoli, di troppe parole. La sua è una fede che la porta ad agire anche se l’occhio non perde di vista la realtà (“Signore, ormai puzza”) ma proprio per questo la sua fede è ancora maggiore. Quello che potrebbe essere un suo limite ma che direi piuttosto parte costituente del suo carattere è quello di voler che gli altri si comportino come lei ma, d’altra parte, non faceva che mettere in pratica il comandamento di Gesù: “Non chi dice Signore, Signore entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio”.
Maria è la figura della donna “innamorata”. Capiamoci bene: non della donna che ha preso una cotta per un bell’uomo attraente, neanche della stupidella che quando è cotta capisce ancor meno del solito, è colei che dal profondo della capacità della propria femminilità ha trovato nella serenità e nell’intelligenza la persona che riempie il suo cuore, che risponde alle aspettative del suo spirito, che le dà quelle certezze e sicurezze di cui sente il bisogno come persona e come donna poco considerata in quel tempo. Maria è capace di amare perché è capace di ricevere e di donare, perché sa ascoltare e non subissa Gesù con le sue chiacchiere, è una che sa stare ai piedi non con senso di servilismo ma con l’accoglienza più completa. E’ colei che non fa piazzate dei propri sentimenti ma che è pronta ad alzarsi e ad andare quando le vien detto: “C’è il maestro e ti chiama”. E’ come l’altra Maria, la mamma di Gesù, una che “meditava tutte queste cose nel suo cuore” è una che, come la sorella sa essere concreta nel suo manifestare gratitudine.
Tre persone diverse con caratteri diversi ma con dei principi e fini comuni.
Non li accomuna solo la parentela della carne ma la parentela della fede. Sono ebrei convinti, la Bibbia è il loro libro, la loro vita è scandita dai tempi della fede. L’amicizia non è dettata solo da sentimenti umani ma fonda se stessa sulla Parola di Dio, sulla fedeltà di Dio, sulla Paternità di Dio. L’accoglienza è l’atteggiamento tipico non solo del mondo orientale ma si fonda sulla Bibbia che dice che accogliendo le persone si accolgono gli angeli, un po’ come era successo ad Abramo. Sono queste le cose principali di cui si sente il buon odore in quella casa come si sente la fragranza e la semplicità del buon odore del pane fresco e il profumo dell’unguento profumato della riconoscenza.
Gesù ci sta bene, volentieri in quella casa. Sa che quelli sono i suoi veri discepoli. Sa che quei suoi tre amici se gli chiedono qualcosa è perché hanno fiducia in Lui e non gli fanno domande “per metterlo alla prova”. Sa che nessuno dei tre vuole manipolarlo, ottenere qualcosa per sé. Sa che in quella casa contano i silenzi come le parole, sa che può contare su affetto e comprensione, sa che quegli amici, così profondamente legati a Lui dall’amicizia umana sanno andare oltre e cogliere in Lui la presenza di Dio. Sa che in quella casa potrà sempre trovare un momento di pace interiore, di serenità, di semplicità e di amore vero.
GESU’ HA PIACERE DI VENIRE A CASA NOSTRA
Tutto ci dimostra questo desiderio di Gesù. Lui ha preso carne, è venuto nella nostra realtà terrena perché ci ama. Ama suo Padre e ama noi e desidera donarci la sua salvezza e la sua amicizia. Lui è la parola del Padre, una Parola che salva, illumina, guida, protegge. Lui è la Via la Verità, la Vita. Lui ci ha dimostrato il suo amore e la sua amicizia offrendo la sua vita per noi (“non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici”), Lui si fa acqua per la nostra sete (“Se sapessi chi hai davanti chiederesti a Lui l’acqua che toglie ogni sete), Lui si fa pane per rimanere sempre con noi (“Chi mangia questo pane vivrà in eterno”).
Lui ci ama personalmente: è lo sguardo che si posa con amore su quel giovane osservante, è la voce che chiama personalmente gli apostoli, è quello che ci vede sotto il fico come è successo a Natanaele di Galilea, e colui che si ferma sotto la pianta dove Zaccheo, strano frutto, si è appollaiato e si invita a pranzo a casa sua. E’ il Figlio di quel Dio che “conosce ciascuno per nome”. Noi non siamo dei numeri, delle schede di archivio, dei file dei computer. Siamo per lui delle persone ben specifiche, degli amici cari. Lui con la sua presenza vuol salvare la totalità del nostro essere. Gesù vuol venire da noi, ha piacere di stare con noi, spera di poter stare con noi, di riposarsi con noi, di giocare con noi, di essere con noi, di entrare con noi in comunione con il Padre, di poter riversare su di noi i suoi doni di amicizia, di amore.
Gesù ha studiato e studia tutti i modi per venire in casa nostra. “Io sono con voi fino alla fine dei tempi”, “Ogni volta che avrete dato un bicchier d’acqua al più piccolo dei miei fratelli l’avrete dato a me”, “Io ho fame, io ho sete…”, “Dove due o tre sono uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”, Lui solo “ha parole di vita eterna”, ci ha dato la Chiesa e il sacerdozio perché “chi ascolta voi, ascolta me”, per essere con noi nel suo mistero di salvezza ci ha detto di fare viva memoria di Lui, “Chi mangia questo pane e beve questo sangue rimane in me ed io in Lui”. Lui è sempre in cammino per cercarci: “Sto alla porta e busso, se qualcuno mi aprirà noi verremo a Lui”, non si spaventa neanche del nostro peccato, a viene a cercarci come fa il fa il pastore con la pecorella smarrita. Pur di far festa è disposto a spazzare tutta la casa come la massaia o a lasciarsi dilapidare il patrimonio come il padre della parabola del figliol prodigo. La sua amicizia è fedele nonostante le nostre infedeltà e anche dopo queste è ancora disposto a dirci: “Mi fido di te” come ha detto a Pietro dopo il suo rinnegamento. E’ disposto a lasciarsi toccare quando siamo increduli come Tommaso, pur di salvarci è disposto quasi a dire bugie o a cercare scusanti: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. Gesù vorrebbe trovarsi bene a casa nostra e non “Venne tra i suoi ma i suoi non lo accolsero”, se noi però lo accogliamo: “Diede loro il potere di diventare figli di Dio generati da Spirito santo”.
COME ACCOGLIERE GESU’ CHE VIENE IN CASA NOSTRA
Sempre tenendo d’occhi la casa di Betania proviamo a vedere quale sia il modo migliore di accogliere Gesù.
Partiamo dalle cose che sappiamo dare fastidio a Gesù proprio per evitarle.
A Gesù dà fastidio l’ipocrisia e soprattutto l’ipocrisia religiosa. A Gesù non piacciono le persone doppie, le persone false vogliono apparire diverse da quelle che sono in realtà. Con lui è inutile cercare di nascondersi: lui legge il cuore preferisce un pubblicano come quello della parabola che dice: “Pietà di me peccatore” ad un fariseo tronfio del bene che ha fatto per obbligo e per accaparrarsi un posto in paradiso, preferisce un Pietro generoso ma anche pauroso, buono ma anche peccatore ad un “sepolcro imbiancato bello di fuori ma pieno di ossa marce al di dentro”. Gesù non si spaventa del peccato perché sa che può perdonarlo e farci rinascere ancora migliori di prima, ma aborrisce chi si sente a posto, chi pensa di essere migliore degli altri, chi usa degli altri per apparire migliore di loro, perché sa che lì la sua grazia non può far nulla.
Attenzione perché questa è una delle tentazioni più forti, quella di sentirci migliori degli altri perché abbiamo dato la nostra vita al Signore. Attenzione a non giudicare il prossimo dall’alto della nostra presunta morale vedendo sempre il male quasi a dire che noi siamo diversi. Marta è amata perché Marta, così com’è con il suo carattere, Maria come Maria: sono sante tutte due.
Un'altra cosa, simile all’ipocrisia, che dà fastidio a Gesù sino i falsi misticismi cioè il vivere la spiritualità tutta incentrata su se stessi: “io e il mio Gesù”. Se Gesù vuole bene a ciascuno e a ciascuno si rivela in modo particolare non per questo cessa di essere il Signore di tutti. Nessuno di noi può accaparrarsi l’esclusiva di Gesù e nessuno di noi può pretendere da un altro la stessa nostra strada di spiritualità.
Dio non è da tenere tutto per sé. Io amo quando rispetto la libertà dell’altro. Io amo Gesù quando non ne faccio un esclusivo territorio di caccia per il mio falso misticismo ma quando sono felice che Gesù sia di tutti, per tutti. Se c’è una cosa che proprio non dovrebbe mai esistere sono le gelosie religiose. Non ha senso essere gelosi del bene dell’altro, non ha senso non rallegrarci quando il Signore giunge al cuore di un fratello per strade diverse da quelle che è giunto al mio cuore. Pensate a quanto deve essere stato difficile per Gesù aver ad esempio ridato la vita a Lazzaro e in conseguenza di questo vedere che i religiosi di allora invidiosi per il suo successo decidono di uccidere sia Lui che Lazzaro. Quante è bello invece gioire delle “meraviglie di Dio”, vedere che Dio fa crescere anche dove non si è seminato, scoprire non solo per noi ma anche per i fratelli le strade a volte umanamente impensabili attraverso cui Gesù cerca di giungere ai cuori.
Attenzione anche a non sfruttare l’amicizia che Gesù ha per noi, sarebbe svilirla. Mi spiego. Spesso per il fatto di aver fatto una scelta religiosa noi pensiamo di avere un ruolo e un posto particolare nel Cuore di Gesù. Se questo è vero per il dono che ci è stato fatto, non per questo noi siamo migliori di altri o possiamo accampare esclusive sul Signore. Certo lui gradisce quando noi preghiamo per gli altri, anzi questa dovrebbe essere una delle prime caratteristiche del nostro ministero: chiediamo lodiamo ringraziamo per gli altri anche con la forza del ministero che ci è stato affidato ma senza pretendere di avere un rapporto privilegiato con il Signore. Quanto è triste vedere preti e religiosi che quasi si sentono casta a parte. Io non vado in paradiso prima degli altri perché sono prete o suora, anzi ho più responsabilità di altri perché ho più ricevuto.
Una cosa poi da ricordare è che Gesù viene sempre in compagnia.
Gesù non arriva mia solo. Ci viene facile capire perché Marta chiedesse aiuto a sua sorella nel disbrigo delle faccende domestiche. Gesù era arrivato almeno con dodici apostoli se pur non c’era anche una truppa di discepoli e di poveri!
Ricordo vagamente una bella preghiera del Quoist dove l’autore diceva più o meno: “Ho sentito bussare alla porta. Eri tu. Ho socchiuso per farti entrare. Ma subito dopo te una folla ha spalancato la porta e sono entrati. Qualcuno con delicatezza. Qualcuno invece si è quasi appropriato di casa mia. E non sono neanche tutti di mio gradimento perché tu o Gesù ami delle compagnie abbastanza strane. Gesù, certe volte non ne posso più.”
Se davvero vogliamo accogliere Gesù dobbiamo essere disposti ad accogliere anche tutti i suoi amici e fin che si tratta dei santi ne siamo anche felici, ma dobbiamo essere altrettanto felici di accogliere anche i peccatori che lui ama, i poveri che sono i suoi privilegiati, i nostri compagni di viaggio o di vocazione che proprio per il contatto quotidiano e per la confidenza a volte possono anche diventare pesanti. Qualcuno ha detto: “vita comune, massima penitenza”. Penso fosse un po’ troppo pessimista ma credo non avesse tutti i torti. Volete vedere se per voi è vero? Provate a chiedervi se quando magari siete state per un po’ lontane dalla vostra casa religiosa magari per fare del bene sentite il desiderio di tornarvi per trovarvi la pace e le vostre consorelle. Eppure accogliere Gesù parte proprio di lì. Per chi è sposato dall’accogliere la propria moglie o il proprio marito, i figli, i nonni, gli suoceri, il parroco che vorrei vedere diverso da come è, quel compagno di lavoro che non la smette di sfottermi, quella vicina di casa così invadente, quel confratello o quella consorella che qualche volta dentro di me chiamo can-fratello o can-sorella. No, anche qui non è questione di diventare falsi, di non dire più quello che pensiamo, di nasconderci dietro a sorrisi ipocriti, si tratta con tutti i limiti del nostro carattere di mettere però al primo posto l’amore vero, quello che fa dire la verità ma non come se fosse un arma per uccidere, quello che ci porta ad ascoltare prima di parlare, quello che ci aiuta a vedere le cose buone dell’altro prima che i suoi difetti, quello che ci porta a condividere i nostri doni prima di pretendere che l’altro assolva ai suoi doveri nei nostri confronti.
PREGHIAMO
Se tu non vieni, i nostri occhi più non vedono la tua luce, le nostre orecchie più non odono la tua voce, le nostre bocche più non cantano la tua gloria. Vieni ancora Signore. Se tu non vieni,
i nostri volti non sorridono per la gioia,
i nostri cuori non conoscono tenerezza, le nostre vite non annunciano la speranza. Vieni ancora Signore. Se tu non vieni, le nostre spalle sono curve sotto il peso, le nostre braccia sono stanche di fatica, i nostri piedi già vacillano sulla via. Vieni ancora Signore.